Per un bambino essere tenuto in braccio, cullato, accarezzato, sentirsi protetto fra le braccia di una madre, venire nutrito con amore, essere calmato a causa di un disagio o di un pianto significa avere la certezza di essere accudito, significa avere la garanzia di contare per l’altro, vuol dire “essere riconosciuto” e dunque “riconoscersi”: sono amato, dunque esisto.
La percezione della propria identità si sviluppa infatti a partire dal riconoscimento da parte dell’adulto che “cura”: mentre la mamma abbraccia e culla il suo bambino quest’ultimo si definisce nei suoi contorni, si percepisce con un confine, con una identità , si sente “persona” e tutto questo grazie all’altro che gli rimanda la sua immagine, che dà significato alle sue emozioni.
Dunque un bambino istituzionalizzato precocemente che non può vivere questa dimensione relazionale di amore, un bambino lasciato ore ore nel suo lettino, un piccolo che raramente viene preso in braccio, toccato e accarezzato, come reagirà a tale mancanza?
Gli istituti, anche a seconda del paese, hanno una loro organizzazione interna e un numero di bambini che si differenzia molto. Qualche decennio fa gli istituti potevano accogliere centinaia di bambini e naturalmente, in simili condizioni, la cura e le attenzioni nei loro confronti era decisamente insufficiente.
Oggi per fortuna qualcosa è cambiato: gli istituti sono più piccoli e di conseguenza anche il numero dei minori accolti si è ridimensionato; questo consente di essere maggiormente seguiti, ma lo stato di abbandono resta immutato. Al bambino manca quella relazione esclusiva tipica di una figura dedicata solo a lui e le cure sono suddivise fra tutti gli ospiti presenti. Le figure adulte poi cambiano e non sono mai le stesse, hanno una turnazione che è necessaria all’organizzazione interna.
Un comportamento che si può osservare spesso nei bambini istituzionalizzati è quello del dondolìo: molti bambini, soli nei loro lettini, si dondolano, quasi come a volersi cullare da soli. Altri battono la testa contro le sbarre del loro lettino o contro il muro, appaiono come estraniati, in un mondo tutto loro e irraggiungibile.
Sebbene i comportamenti descritti evochino il sospetto di pesanti problemi neurologici, il più delle volte si tratta proprio di “patologie da istituzionalizzazione”: i bambini privati della costante cura amorevole di una madre e impossibilitati di ricevere da lei quell’immagine di sé così necessaria per crescere sviluppano modalità “autoconsolatorie” dove il dondolarsi, o anche il battere la testa, comportamenti stereotipati che diventano l’unica modalità per entrare in contatto con se stessi, l’unica possibilità per percepirsi, per sentire quel confine necessario che dà la certezza di esistere anche in assenza dell’abbraccio accogliente di una madre.
Sono comportamenti che possono perdurare anche dopo l’adozione; ogni modello appreso ha infatti bisogno di molto tempo e pazienza prima di essere sostituito da uno nuovo e più sano.
Tali manifestazioni dei bambini possono attivare la paura di essere in presenza di segnali che rimandano alla patologia dell’autismo, ma il più delle volte si tratta di disturbi tipici propri di un’istituzionalizzazione precoce.
Ecco perché al loro arrivo in famiglia è bene dedicare ai nostri piccoli molte cure e tempo, per restituire loro la possibilità di ristrutturare un legame di attaccamento con la nuova famiglia in cui sentirsi sicuro e protetto. Il contatto fisico ricopre un grandissimo significato ed è fondamentale affinché il bambino sviluppi una buona consapevolezza del suo essere, una buona autostima e fiducia nel mondo.
Dott. Maria Elisabetta Rigobello
Psicologa e Psicoterapeuta
34 anni fa, precisamente il 4 aprile 1985 si svolse un convegno che sottolineava il problema dei bambini istituzionalizzati nel periodo della seconda infanzia dal titolo “Il bambino semi-istituzionalizzato. Convegno al quale presentarono interessanti relazioni studiosi ed esperti di psicologia, pediatria, psicoanalisi, sociologia. Per approfondimenti scrivi a marzeda@hotmail.it